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Codice privacy: l’abrogazione, un mero semplicismo

Ci eravamo lasciati solo qualche giorno così: l’abrogazione del codice privacy, una scelta anti-sistema, forse auspicabile anche per altri settori del nostro ordinamento?!

C’è chi non la pensa così.

Secondo l‘Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione Digitale (di seguito per brevità “ANORC”), infatti, abrogare il codice privacy è scelta imprudente.

Alla base di siffatta asserzione, la considerazione per la quale adeguare non significa abrogare. L’intervento di “adeguamento” del nostro codice in materia di protezione dei dati personali seppur necessario al fine di coordinare la legislazione nazionale vigente con il Regolamento, contrasta con quanto previsto dalla legge di delegazione europea e dichiarato dalla stessa presidenza della Commissione in relazione all’obiettivo dell’intervento di modifica.

Nello specifico, secondo il dettato della legge di delegazione europea, art. 13 comma 3, il Governo è tenuto ad abrogare espressamente (soltanto) le disposizioni del codice in materia di trattamento dei dati personali, di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, incompatibili con le disposizioni contenute nel Regolamento (UE) 2016/679; modificare il D.Lgs. n.196/2003 limitatamente a quanto necessario per dare attuazione alle disposizioni non direttamente applicabili contenute nel Regolamento (UE) 2016/679; coordinare le disposizioni vigenti in materia di protezione dei dati personali con le disposizioni recate dal Regolamento (UE) 2016/679; adeguare, nell’ambito delle modifiche al codice di cui al D.Lgs. n. 196/2003, il sistema sanzionatorio penale e amministrativo vigente alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 con previsione di sanzioni penali e amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità della violazione delle disposizioni stesse.

Tenuto conto della disposizione de qua, a parere dell’ANORC, la prevista abrogazione dell’intero D.Lgs. n. 196/2003 risulterebbe, dunque, viziata da un palese eccesso di delega.

Neppure condivisibile la motivazione addotta nella relazione illustrativa allo schema di decreto, per la quale la scelta di abrogare il D.Lgs. n. 196/2003 sia fondamentalmente volta ad “evitare che tutti e quindi anche l’interprete dovessero consultare tre testi normativi”, vale a dire il Regolamento 2016/679/UE, il D.Lgs. n. 196/2003 e l’emanando decreto di “adeguamento”.

A ben vedere, ragionando in questi termini, in tutti i casi in cui si intervenisse per modificare una disposizione sarebbe giustificabile l’ abrogazione delle stessa e l’emanazione di una nuova fonte normativa (sic).

Forte la posizione del Presidente dell’ANORC avv. Andrea Lisi, se uno dei tre testi normativi considerati (id est l’emanando decreto di “adeguamento”) intervenisse a novellare – anche in modo strutturale – uno degli altri due (il vigente Codice in materia di protezione dei dati personali), i giuristi e gli interpreti – come accade per tutti i testi normativi – si riferirebbero sempre a quella stessa fonte normativa oggetto di revisione (rectius, al codice), ma ovviamente nella sua versione modificata. Semplicemente, solo qualora necessario, si citerebbe o si farebbe riferimento allo specifico provvedimento recante le modifiche alle disposizioni della fonte normativa considerata. Forse, si deve – maliziosamente – supporre che sia stata proprio l’ambizione di voler dare alla luce un “nuovo Codice privacy”, e non solo un (ennesimo, seppur importante) provvedimento di adeguamento del Codice già vigente, a determinare la scelta di prevedere l’abrogazione del D.Lgs. n. 196/2003?

Dunque, una nuova provocazione: l’abrogazione del codice privacy equivale a vera semplificazione, ovvero risponde ad un mero semplicismo metodologico?

A parere dello scrivente, è chiaro che – ancora una volta – si paga lo scotto di un “sistema all’italiana”, che vede nella sola codificazione l’ indefettibile corollario della semplificazione.

 






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