PRIVACY: Possibile registrare i colleghi di lavoro per tutelarsi

PRIVACY: Possibile registrare i colleghi di lavoro per tutelarsi

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 11322/2018

Per la Cassazione sussiste la deroga prevista dal d.lgs. 196/2003 non essendo necessario il consenso altrui se la registrazione mira a difendere un proprio diritto in sede giudiziaria come quello di salvare il proprio posto di lavoro

SENTENZA: http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20180510/snciv@sL0@a2018@n11322@tS.clean.pdf

PASSAGGIO FONDAMENTALE: Nella fattispecie qui in esame, la Corte territoriale, con
accertamento non censurabile in questa sede, dopo aver premesso
che quelle di cui si discuteva erano registrazioni di colloqui ad opera
del xxxx, vale a dire di una delle persone presenti e partecipi ad
essi, ha ritenuto che il suddetto dipendente avesse adottato tutte le
dovute cautele al fine di non diffondere le registrazioni dal medesimo
effettuate all’insaputa dei soggetti coinvolti ed ha considerato
operante la deroga relativa all’ipotesi per cui il consenso non fosse
richiesto, trattandosi di far valere o difendere un diritto in sede
giudiziaria. Così ha evidenziato che la condotta era stata posta in
essere dal dipendente ‘per tutelare la propria posizione all’interno
dell’azienda, messa a rischio da contestazioni disciplinari non proprio
cristalline’ e per ‘precostituirsi un mezzo di prova visto che
diversamente avrebbe potuto trovarsi nella difficile situazione di non
avere strumenti per tutelare la propria posizione ritenuta pregiudicata
dalla condotta altrui’. Il tutto in un contesto caratterizzato da un
conflitto tra il xxxx ed i colleghi di rango più elevato e da
inascoltate recriminazioni relative a disorganizzazioni lavorative
asseritamente alla base delle indicate contestazioni disciplinari (cfr.
pag. 9 della sentenza, ultimo capoverso fino al primo di pag. 10) in
cui il reperimento delle varie fonti di prova poteva risultare
particolarmente difficile a causa di eventuali possibili ‘sacche di
omertà’ come era dato apprezzare da quanto emerso in sede di
istruttoria (cfr. pag. 10 della sentenza, penultimo capoverso).
Ed allora, si trattava di una condotta legittima, pertinente alla tesi
difensiva del lavoratore e non eccedente le sue finalità, che come tale
non poteva in alcun modo integrare non solo l’illecito penale ma
anche quello disciplinare, rispondendo la stessa alle necessità
conseguenti al legittimo esercizio di un diritto, ciò sia alla stregua
dell’indicata previsione derogatoria del codice della
privacy sia, in ipotetica sua incompatibilità con gli obblighi di un rapporto di lavoro e
di quelli connessi all’ambiente in cui esso si svolge, sulla base
dell’esistenza della scriminante generale dell’art. 51 cod. pen., di
portata generale nell’ordinamento e non già limitata al mero ambito
penalistico (e su ciò dottrina e giurisprudenza sono, com’è noto, da
sempre concordi – cfr. la  già richiamata Cass. n. 27424/2014 -).
Altro sarebbe stato – sia ben chiaro – se si fosse trattato di
registrazioni di conversazioni tra presenti effettuate a fini illeciti (ad
esempio estorsivi o di violenza privata): ma non è questo il senso
della contestazione disciplinare per cui è causa che, per quanto si
rileva dal contenuto della stessa testualmente riportato nella
sentenza impugnata, aveva avuto ad oggetto la ‘gravissima’ ed
‘intollerabile’ violazione della legge sulla privacy ‘comportante l’ipotesi
del trattamento illecito dei dati punibile con la reclusione da 6 a 24 mesi’.
Né, invero, risulta provato che il xxxx, come si legge sempre
nella contestazione disciplinare, a metà dicembre 2012, avesse
scattato foto nella zona dell’ingresso merci al solo scolo di prendere in
giro un suo collega di lavoro.
Nella specie, dunque, la condotta legittima del xxxx non
poteva in alcun modo ledere il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di
lavoro, fondato, come di regola, sulle capacità del dipendente di
adempiere in modo puntuale l’obbligazione lavorativa, dovendo
escludersi che i fatti al medesimo addebitati nella lettera di
contestazione potessero configurare inadempimenti contrattuali di
sorta (perché qui iure suo utitur neminem laedit) o – peggio – azioni delittuose.






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